Perché i disturbi dell’alimentazione persistono?

Pubblicato da Riccardo Dalle Grave il

Dalle Grave

Dr. Riccardo Dalle Grave

AIDAP Verona  –  Unità di Riabilitazione Nutrizionale Casa di Cura Villa Garda

Introduzione

Nello studio dei disturbi dell’alimentazione è importante cercare di rispondere a due domande fondamentali:

  1. Perché i disturbi dell’alimentazione si sviluppano?
  2. Perché i disturbi dell’alimentazione persistono?

Per rispondere a queste due domande è necessario distinguere la fase di sviluppo da quella di mantenimento del disturbo dell’alimentazione. Questa distinzione ha due importanti implicazioni: (i) l’identificazione delle cause può aiutare a progettare interventi di prevenzione efficaci e quindi ridurre il numero di persone che sviluppano i disturbi dell’alimentazione; (ii) la conoscenza dei processi di mantenimento può favorire lo sviluppo di interventi terapeutici efficaci e quindi aumentare il numero di persone che guariscono dai disturbi dell’alimentazione.

Sfortunatamente, le cause dei disturbi dell’alimentazione, sebbene sembrino derivare da una complessa interazione di molteplici fattori genetici e ambientali, non sono ancora note e sembra difficile poterle identificare in un prossimo futuro perché molte sfide metodologiche non sono ancora state vinte. I disturbi dell’alimentazione, infatti, sono difficili da individuare, i campioni clinici non sono rappresentativi e nello studio delle cause sono raggruppati assieme, come se fossero lo stesso disturbo, i casi che vanno in remissione in pochi mesi con quelli persistono per tutta la vita. Il problema maggiore, però, è l’uso di definizioni diagnostiche inconsistenti che non si basano su biomarcatori oggettivi, come per esempio accade nel diabete di tipo 1 o in altre malattie internistiche, ma solo sui comportamenti e sulle attitudini dei pazienti, che spesso si modificano nel tempo e coesistono con altre problematiche psicologiche, come la depressione o l’ansia. Questo fa sì che i fenotipi studiati non è detto che siano il risultato di processi causali comuni.

Fortunatamente, la ricerca effettuata negli ultimi 30 anni ha migliorato la comprensione dei processi cognitivi e comportamentali che mantengono i disturbi dell’alimentazione a la loro conoscenza ha contribuito a sviluppare trattamenti psicologici più efficaci.

Processi che mantengono i disturbi dell’alimentazione

Secondo la teoria cognitivo comportamentale, l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo, dell’alimentazione e del loro controllo (cioè, valutare se stessi in modo predominate o esclusivamente in termini di peso, forma del corpo, alimentazione e capacità di controllarli) è di fondamentale importanza nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione (Figura 1).

Figura 1. Rappresentazione grafica dello schema di autovalutazione

Le altre caratteristiche cliniche osservate sembrano infatti derivare direttamente da questa  psicopatologia specifica e “nucleare”. Esse includono i comportamenti estremi di controllo del peso (per esempio, la restrizione dietetica, il vomito autoindotto, l’uso improprio di  lassativi e diuretici e l‘esercizio fisico eccessivo), le varie forme di check ed evitamento del corpo, la sensazione di essere grassi, le preoccupazioni per l’alimentazione, il peso e la forma del corpo e la paura di ingrassare. Tali caratteristiche sono, infatti, le espressioni della convinzione dell’individuo che “controllare il peso, la forma del corpo e l’alimentazione è di estrema  importanza per valutare se stessi”.

L’unico comportamento non direttamente determinato dalla psicopatologia specifica e nucleare è l’episodio di abbuffata. Presente in un sottogruppo di persone affette da disturbi dell’alimentazione, sembra però derivare indirettamente da essa, perché è in gran parte mantenuto dal tentativo di aderire a regole alimentari estreme e rigide. Le persone con disturbi dell’alimentazione hanno infatti la tendenza a reagire in modo negativo ed estremo (spesso dicotomico) alla quasi inevitabile rottura di queste regole ed anche una piccola trasgressione tende ad essere interpretata come la prova di scarso autocontrollo e debolezza personale. La risposta a questa percepita mancanza di autocontrollo è un temporaneo abbandono dello sforzo di restringere l’alimentazione che sfocia nell’episodio di abbuffata. Quest’ultimo mantiene la psicopatologia specifica e nucleare intensificando le preoccupazioni di essere incapaci di controllare il peso, la forma del corpo e l’alimentazione, e incoraggia un’ulteriore restrizione dietetica, aumentando così il rischio di ulteriori episodi di abbuffata.

Altri tre processi contribuiscono a mantenere gli episodi di abbuffata: (i) le difficoltà della vita e i cambiamenti emotivi associati aumentano la probabilità che le persone con disturbi dell’alimentazione rompano le loro regole dietetiche rigide ed estreme; (ii) dal momento che l’episodio di abbuffata migliora temporaneamente il tono dell’umore e distrae dai problemi, esso può diventare un mezzo disfunzionale per far fronte a queste difficoltà e (iii) se l’episodio di abbuffata è seguito dal vomito autoindotto o dall’uso di altri comportamenti di compenso, questi tendono a mantenere gli episodi di abbuffata, perché le persone hanno la convinzione che tali comportamenti siano efficaci nel prevenire l’assorbimento di calorie e, di conseguenza, allentano il controllo dell’alimentazione perché viene meno un importante deterrente dell’alimentazione in eccesso (cioè la paura d’ingrassare).

Per quelle persone che soddisfano i criteri diagnostici DSM-5 dell’anoressia nervosa, gli episodi di abbuffata sono prevalentemente soggettivi oppure non sono presenti. In questi casi predomina la restrizione dietetica calorica e la presenza del basso peso, che determinano lo sviluppo di numerosi sintomi da malnutrizione.

Le varie espressioni cliniche dei disturbi dell’alimentazione derivate dalla psicopatologia specifica e centrale (cioè il sottopeso, la restrizione calorica e cognitiva, le abbuffate, l’uso improprio di lassativi e diuretici, l’esercizio fisico eccessivo, il check e l’evitamento del corpo e la sensazione di essere grassi) a loro volta mantengono, attraverso vari meccanismi (vedi Tabella 1), in uno stato di continua attivazione lo schema di autovalutazione disfunzionale.

Tabella 1. I principali meccanismi di mantenimento dei disturbi dell’alimentazione

Restrizione dietetica (calorica e cognitiva)

  • Aumenta le preoccupazioni per l’alimentazione.
  • Causa ansia ogni volta che si mangia.
  • Limita il modo in cui si mangia.
  • Contribuisce a sviluppare e a mantenere gli episodi di abbuffata.
  • È la principale causa dello sviluppo e del mantenimento del sottopeso.
  • Può essere utilizzata per gestire in modo disfunzionale gli eventi e i cambiamenti emotivi.
  • Compromette le relazioni interpersonali.

Abbuffata (oggettiva e soggettiva)

  • Aumenta le preoccupazioni per il peso, la forma del corpo e l’alimentazione.
  • Intensifica la restrizione dietetica per compensare le calorie assunte.
  • Favorisce l’uso di comportamenti di compenso (per esempio, il vomito autoindotto, l’uso improprio di lassativi e/o diuretici).
  • Può essere utilizzata per gestire in modo disfunzionale gli eventi e i cambiamenti emotivi

Esercizio eccessivo

  • Aumenta le preoccupazioni per il peso e la forma del corpo.
  • Promuove gli episodi di abbuffata (se usato come comportamento di compenso).
  • È una possibile causa dello sviluppo e del mantenimento del sottopeso.
  • Può essere utilizzato per gestire in modo disfunzionale gli eventi e i cambiamenti emotivi.

Vomito autoindotto, uso improprio di lassativo e/o diuretici

  • Favoriscono l’allentamento del controllo dell’alimentazione perché le persone pensano erroneamente di essere in grado di eliminare tutte le calorie ingerite usando questi comportamenti.
  • L’uso prolungato di lassativi può portare a stitichezza cronica che, a sua volta, può aumentare la preoccupazione per l’alimentazione e la forma della pancia e perpetuare la necessità di aumentare l’uso di questi farmaci.
  • Alcune persone pensano che, se non evacuano regolarmente, ingrasseranno.

Sottopeso e sintomi da malnutrizione

  • Alcuni sintomi da malnutrizione sono interpretati dalle persone con disturbi dell’alimentazione come una minaccia al controllo dell’alimentazione (per esempio, la fame può spingere a mangiare più di quanto è stato pianificato) o come l’incapacità di controllare l’assunzione di cibo (per esempio, il senso di pienezza precoce può essere interpretato come un segno che si è mangiato troppo).
  • Alcuni sintomi da malnutrizione, come il ritiro sociale, inducono le persone a isolarsi da esperienze “normali” esterne che potrebbero servire a ridurre l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo, introducendo/rafforzando altri domini di autovalutazione.
  • Alcuni sintomi da malnutrizione, (per esempio la fame, le vertigini, la debolezza e la sensazione di freddo) possono essere interpretati positivamente, come segni del successo nel controllare l’alimentazione e il peso corporeo.

Check del corpo

  • La misurazione frequente del peso porta a interpretare erroneamente le variazioni minime del peso, generalmente dovute al cambiamento dell’idratazione del corpo, come “essere aumentati di peso” e incoraggia l’intensificazione della dieta o l’adozione di altri comportamenti estremi di controllo del peso.
  • Esaminare e scrutinare ripetutamente parti non gradite del corpo amplifica i difetti percepiti e intensifica l’insoddisfazione corporea che, a sua volta, incoraggia l’intensificazione della restrizione dietetica.
  • L’osservazione superficiale e rapida delle parti del corpo di persone magre e attraenti o con specifiche caratteristiche fisiche (per esempio, con la pancia piatta o le gambe sottili) conferma che la forma del proprio corpo è sbagliata e mantiene l’insoddisfazione corporea che, a sua volta, incoraggia l’intensificazione della restrizione dietetica.

Evitamento del corpo

  • Permette alle preoccupazioni e alle paure sul peso e sulla forma del corpo di persistere in assenza di un riscontro oggettivo di come si appare (le false credenze riguardo al proprio peso e forma del corpo rimangono incontrastate).
  • Nega la possibilità di ricevere commenti positivi da altri e quindi mantiene credenze negative sul proprio corpo.
  • Limita gli interessi, non consente una vita intima e porta le persone a isolarsi, concentrandosi sempre più sul controllo del peso e della forma del corpo.
  • L’evitamento della misurazione del peso mantiene la paura di ingrassare e facilita l’aumento o la perdita di peso, in quanto impedisce l’uso di misure salutari per prevenire tali evenienze.

Sensazione di essere grassi

  • Tende ad essere equiparato all’essere grassi.
  • Mantiene l’insoddisfazione corporea che, a sua volta, incoraggia l’intensificazione della restrizione dietetica.

La Figura 2 mostra la formulazione transdiagnostica dei principali processi di mantenimento specifici dei disturbi dell’alimentazione. Il diagramma può essere adattato con minime modifiche a tutte le categorie diagnostiche di questi disturbi, o meglio alle manifestazioni individuali della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione, e fornisce una guida da condividere con i pazienti sui processi che dovranno essere affrontati nel trattamento. Per esempio, la formulazione di una persona affetta da bulimia nervosa non contiene il riquadro “basso peso e sindrome da malnutrizione”, ma può includere tutte le altre caratteristiche descritte nella formulazione transdiagnostica. Al contrario, la formulazione di una persona con anoressia nervosa tipo con restrizioni include sempre la casella “basso peso”, ma non il riquadro “abbuffata” e “comportamenti di compenso” e “uso improprio di lassativi”. Infine, i casi di anoressia nervosa tipo con abbuffate/condotte di eliminazione richiedono l’inserimento del maggior numero di processi di mantenimento; al contrario, quelli di disturbo da binge-eating ne hanno il minor numero.

Figura 2. I principali processi di mantenimento dei disturbi dell’alimentazione

Conclusioni

La comprensione dei processi di mantenimento dei disturbi dell’alimentazione ha contribuito allo sviluppo di trattamenti psicologici efficaci. L’esempio più importante è la terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E): un trattamento psicologico flessibile e personalizzato ideato per affrontare i principali processi di mantenimento sopra descritti piuttosto che la diagnosi del disturbo dell’alimentazione (cioè, anoressia nervosa, bulimia nervosa, altri disturbi dell’alimentazione). L’efficacia della CBT-E è stata valutata in diversi studi clinici i cui risultati hanno portato le linee guida internazionali a raccomandare questo trattamento per gli adulti e gli adolescenti affetti da tutte le forme dei disturbi dell’alimentazione.

Bibliografia

Dalle Grave, R., & Calugi, S. (2020). Cognitive behavior therapy for adolescents with eating disorders. New York: Guilford Press. 

Fairburn, C. G. (2008). Cognitive behavior therapy and eating disorders. New York: Guilford Press.

National Guideline Alliance. (2017). Eating disorders: Recognition and treatment. London: National Institute for Health and Care Excellence (UK); 2017 May. (NICE Guideline, No. 69.) London.

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