Fobia del peso o eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo? Un’analisi cognitiva del nucleo psicopatologico dell’anoressia nervosa
Riccardo Dalle Grave, Massimiliano Sartirana e Simona Calugi
L’anoressia nervosa è una malattia complessa le cui cause non sono ancora note, sebbene i dati disponibili suggeriscano che derivi dall’interazione di molteplici potenziali fattori di rischio genetici e ambientali (Watson et al., 2019; Zipfel, Giel, Bulik, Hay, & Schmidt, 2015). In ogni caso, ad un certo punto i fattori causali dell’anoressia nervosa convergono nel portare la persona a sviluppare la convinzione di dover perdere peso.
Una teoria che ha dominato per molti anni la patogenesi dell’anoressia nervosa si è basata sul paradigma dell’evitamento secondo cui la probabilità di un comportamento aumenta se è seguito da un rinforzo negativo (cioè la rimozione di uno stimolo avversivo). Questo modello, applicato all’anoressia nervosa, spiega apparentemente la maggior parte delle espressioni comportamentali del disturbo (per es., la dieta ferrea, l’esercizio fisico eccessivo, il vomito auto-indotto e l’uso improprio di lassativi e diuretici) che sono adottate per evitare lo stimolo avversivo (cioè l’aumento di peso e il diventare grassi) (Garner & Bemis, 1982). Il modello è anche compatibile con la concettualizzazione dell’anoressia nervosa che la considera un disturbo adattivo, in cui la “fobia del peso” rappresenta l’evitamento delle circostanze temute associate alla maturità psicosessuale (Crisp, 1965). Secondo questa teoria la dieta ferrea e la perdita di peso diventerebbero un mezzo per evitare le sfide associate allo sviluppo psicosessuale nei confronti delle quali la persona con anoressia nervosa si sente impreparata. Sebbene nella maggior parte dei casi la fonte di questa fobia (lo stimolo avversivo) non sia espressa dai pazienti, alcuni autori riportano che essa sia spesso associata a temi che riguardano la sessualità, gli standard prestazionali elevati, la separazione dalla famiglia o i conflitti familiari (Garner & Bemis, 1982).
Secondo questa teoria, l’evitamento, una volta acquisito, sarebbe mantenuto dalla stabilità dei comportamenti, che isolano il soggetto dalla possibilità di riconoscere quando le contingenze avversive non sono più operative. Anche le variabili cognitive sembrano contribuire a questo processo perché l’evitamento impedisce di sviluppare un apprendimento inibitorio della paura non permettendo di falsificare le conseguenze temute (Craske, Treanor, Conway, Zbozinek, & Vervliet, 2014; Reilly, Anderson, Gorrell, Schaumberg, & Anderson, 2017). Inoltre, come proposto da Beck e Emery (1985), il comportamento di evitamento potrebbe essere perpetuato da set cognitivi “iperattivi”, che operano autonomamente. Col passare del tempo, l’anticipazione cognitiva agli stimoli temuti, per esempio a determinati cibi o a un peso più elevato sulla bilancia, produrrebbe una ansia tale da favorire nel paziente l’adozione di regole rigide per salvaguardarsi dalle conseguenze tanto temute. Questo terrore determina lo sviluppo di regole e pregiudizi sbagliati che vanno in direzione della sicurezza, includendo una graduale esclusione dei cibi temuti e ponendo i limiti del peso a livelli sempre più bassi.
La concettualizzazione dell’anoressia nervosa come semplice disturbo fobico è, però, difficile da sostenere perché nelle persone con questo disturbo il riuscire a controllare il peso, la forma del corpo e l’alimentazione si associa spesso a un senso di trionfo, padronanza, autocontrollo e superiorità (Garner & Bemis, 1982). È comune osservare questa caratteristica nei racconti delle pazienti che, soprattutto nelle prime fasi della perdita di peso, riferiscono di essere state “contente”, “esultanti”, “soddisfatte”, “trionfanti”, “potenti” e “orgogliose” (Bemis, 1983). La perdita di peso, infatti, viene spesso vissuta come un “traguardo”, “un raggiungimento”, “una virtù”, “una fonte di piaceri positivi” e “un piacere dei sensi” (Bemis, 1983). Questa condizione in cui la maggior parte delle pazienti con anoressia nervosa esalta le virtù dello stato patologico adottando attivamente sintomi “egosintonici” di controllo estremo del peso (per es. la dieta ferrea, l’esercizio fisico eccessivo, il vomito auto-indotto e l’uso improprio di lassativi e diuretici) distingue chiaramente il disturbo dell’alimentazione da una semplice “fobia” del peso. Infatti, un paziente con claustrofobia attiva uno stato d’ansia molto forte se si trova in spazi chiusi, ma in genere non riporta una sensazione di euforia o un senso di potere quando si trova all’aperto (Garner & Dalle Grave, 1999). Inoltre, la paziente con anoressia nervosa percepisce le preoccupazioni e gli stati emotivi negativi, come l’ansia, associati al peso, alla forma del corpo e all’alimentazione, come un mezzo utile per tenere il controllo su queste, diversamente dal paziente con claustrofobia che percepisce la sua ansia come eccessiva, non controllabile e della quale vorrebbe liberarsi prima possibile, motivo per cui evita.
Le caratteristiche egosintoniche dell’anoressia nervosa hanno portato a considerare il rinforzo positivo cognitivo associato al controllo del peso, della forma del corpo e dell’alimentazione come il nucleo psicopatologico centrale del disturbo e la fobia del peso un’espressione secondaria di questa psicopatologia. Secondo la moderna teoria cognitivo comportamentale transdiagnostica, infatti, un distintivo schema di autovalutazione, l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del loro controllo (cioè valutare se stessi in modo predominante o a volte esclusivo in termini di peso, forma del corpo e loro controllo), è di centrale importanza nel mantenere l’anoressia nervosa, ma anche altri disturbi dell’alimentazione (Fairburn et al., 2003). La maggior parte delle altre caratteristiche cliniche deriva direttamente o indirettamente, da questa psicopatologia specifica e nucleare. Per esempio, i comportamenti estremi di controllo del peso (dieta ferrea, esercizio fisico eccessivo, vomito autoindotto, uso improprio di lassativi o di diuretici), il check e l’evitamento del corpo e la sensazione di essere grassi, le ricorrenti preoccupazioni per il peso, la forma del corpo e l’alimentazione, e la marginalizzazione di altre aree della vita si spiegano se una persona crede che il controllo dell’alimentazione, del peso e della forma del corpo siano di estrema importanza per giudicare il proprio valore. Inoltre, la restrizione dietetica calorica e il basso peso determinano lo sviluppo di numerosi sintomi da malnutrizione (Calugi, Chignola, El Ghoch, & Dalle Grave, 2018) che, a loro volta, contribuiscono a mantenere il disturbo dell’alimentazione attraverso vari processi. Per esempio, il ritardato svuotamento gastrico conseguente alla malnutrizione produce un precoce senso di pienezza, anche dopo aver mangiato modeste quantità di cibo, il ritiro sociale secondario, molto comune in queste pazienti, intensifica l’uso del peso e della forma del corpo come mezzo di valutazione di sé e la preoccupazione per il cibo secondaria alla restrizione calorica accentua la regole dietetiche rigide ed estreme (Dalle Grave, Pasqualoni, & Marchesini, 2011). L’unico comportamento non direttamente determinato dalla psicopatologia specifica e nucleare è l’episodio di abbuffata. Presente in un sottogruppo di persone affette da anoressia nervosa, sembra però derivare indirettamente da essa, perché è in gran parte mantenuto dal tentativo di aderire a regole dietetiche estreme e rigide e/o di gestire gli eventi e i cambiamenti emotivi associati (Fairburn et al., 2003).
La ricerca della perdita di peso, quindi, non è semplicemente legata al tentativo di evitare una situazione avversiva (avere un corpo grasso), ma è attivamente ricercata perché fornisce un sistema di realizzazione personale e di autovalutazione. Questo spiega anche perché la fame ed altri sintomi associati alla malnutrizione non siano considerati negativamente dalle persone con anoressia nervosa, ma siano spesso interpretati positivamente come un segno di autocontrollo e di padronanza (Dalle Grave, Di Pauli, Sartirana, Calugi, & Shafran, 2007). Infine, l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo e del loro controllo spiega anche l’intensità e la durata della reazione negativa riportata dalle persone con anoressia nervosa quando hanno un lieve aumento di peso e/o non riescono a controllare l’alimentazione secondo quanto hanno pianificato (Fairburn et al., 2003).
L’identificazione del nucleo psicopatologico dell’anoressia nervosa non ha solo un’importanza speculativa accademica, ma ha soprattutto importanti implicazioni per il trattamento psicologico di questo disturbo. Infatti, la terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E), che deriva dalla concettualizzazione cognitivo comportamentale transdiagnostica descritta sopra, attribuendo all’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione, e non alla fobia del peso, il ruolo centrale nel mantenimento dell’anoressia nervosa, ha come obiettivo principale quello di aiutare i pazienti a sviluppare uno schema di valutazione di sé più articolato e funzionale. Per fare questo, il trattamento prevede l’utilizzo di molte procedure tra cui il monitoraggio in tempo reale e la costruzione di una formulazione personalizzata, che hanno l’obiettivo di educare i pazienti sui processi di mantenimento del loro problema (ed evitare che si identifichi con il problema). I pazienti sono poi incoraggiato a fare cambiamenti comportamentali graduali nel contesto della loro formulazione per valutare gli effetti e le implicazioni degli stessi sul loro modo di pensare. A differenza dei programmi basati sull’esposizione (Reilly et al., 2017), il trattamento è strutturato in modo tale da far sentire sempre in controllo i pazienti attraverso l’uso di specifiche strategie e procedure (per es. la pianificazione in anticipo dei pasti e l’introduzione dei cibi evitati) finalizzate a creare un bilancio calorico positivo che determina un recupero del peso settimanale prevedibile e controllato. In questo modo i pazienti, potendo prevedere gli effetti di quello che mangiano sul peso, sono maggiormente disposti a tollerare l’ansia nell’affrontare il recupero del peso e la reintroduzione dei cibi evitati. Inoltre, il trattamento coinvolge sempre attivamente i pazienti nel rimuovere le altre espressioni chiave della psicopatologia che mantengono attivo il disturbo dell’alimentazione al fine di aiutarli a sviluppare un sistema di autovalutazione più funzionale e articolato e non più dipendente in modo predominante dal peso, dalla forma del corpo e dal loro controllo.
REFERENZE
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